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  • Immagine del redattoreAnna Centore

Il teorema di incompletezza di Kurt Gödel



Avete mai sentito parlare dei teoremi di incompletezza di Kurt Gödel? Si tratta forse dei più celebri teoremi limitativi, che precisano le proprietà che i sistemi formali matematici non possono avere simultaneamente (coerenza e completezza). I teoremi, cui perviene Kurt Gödel nel 1931 in “Sulle proposizioni formalmente indecidibili dei Principia mathematica e di sistemi affini”, affermerebbero che alcuni sistemi sono – appunto – incompleti, in quanto non è possibile dimostrare la veridicità delle loro proposizioni all’interno degli stessi sistemi. Gödel dimostrò che un sistema matematico, cioè un insieme di assiomi (proposizioni di partenza) e di teoremi da essi derivati, non può essere allo stesso tempo completo e corretto: all’interno di esso esisteranno sempre delle proposizioni indecidibili.


Senza lasciarci spaventare dalla complessità della tematica, procediamo con la lettura di una semplificazione dei teoremi, dopodiché passeremo ad analizzarne il significato:


“In ogni formalizzazione coerente della matematica che sia sufficientemente potente da poter assiomatizzare la teoria elementare dei numeri naturali — vale a dire, sufficientemente potente da definire la struttura dei numeri naturali dotati delle operazioni di somma e prodotto — è possibile costruire una proposizione sintatticamente corretta che non può essere né dimostrata né confutata all'interno dello stesso sistema. Nessun sistema, che sia abbastanza coerente ed espressivo da contenere l'aritmetica, può essere utilizzato per dimostrare la sua stessa coerenza.”


Questo teorema sembra non lasciare vie d'uscita, poiché dimostra in maniera irrefutabile che determinate cose (in matematica) sono realmente impossibili, in quanto esistono proposizioni indecidibili.


Se ci pensiamo bene, affrontiamo lo stesso tipo di problema tutti i giorni quando abbiamo a che fare con argomenti un po’ ingarbugliati, come la seguente frase: «La presente proposizione è una bugia». Ci troviamo di fronte ad una sorta di cortocircuito: difatti se la proposizione è vera, allora è falsa; e se è falsa, allora è vera! Tutto ciò rientra tra i paradossi dell'autoreferenzialità… una formulazione medioevale dello stesso dilemma è la seguente:


“Socrate: «Ciò che Platone sta per dire è falso».

Platone: «Quello che Socrate ha appena detto è vero».”


Sembra impossibile decidere sulla veridicità dell’una o dell’altra proposizione poiché, appena affermiamo la verità di una, entriamo in contraddizione. Così l’indecidibilità è data dal fatto che gli enunciati formulati in un sistema logico non possono essere né provati né confutati all'interno dello stesso sistema, a meno che esso non risulti contraddittorio e dunque incoerente. Difatti se riuscissimo a dimostrare che ad esempio Socrate dice il vero, saremmo poi costretti a dire (in base alla risposta di Platone) che tale verità è incoerente con sé stessa, contraddittoria… Se Platone dice il falso, la verità di quanto riportato da Socrate viene meno e viceversa.


Dunque se un sistema vuole essere autoreferenziale (ovvero far riferimento unicamente su sé stesso), la scelta è tra coerenza e completezza di esso, poiché è stato dimostrato che queste proprietà non possono mai darsi insieme. Lo ammetto, anche nel momento in cui sto scrivendo questo articolo, devo scegliere continuamente tra coerenza e completezza (e non è semplice, poiché inevitabilmente una parte dovrà risultare mancante).


Per l’interpretazione formalista della matematica ne consegue l’apertura di uno iato tra dimostrabilità e verità. Dunque ci sono delle verità che non possono essere dimostrate, cioè formalmente possono esistere teoremi validi ma indimostrabili in alcuni sistemi formali. Pensiamo alla seguente proposizione: “Anna non può dimostrare che questa proposizione è vera” (abbreviamo tale frase con la lettera ‘P’). Bene, se io (Anna) dovessi giungere alla conclusione che P è vera, allora tale proposizione sarebbe allo stesso tempo falsificata, in quanto giungerei alla contraddizione di una dimostrazione indimostrabile. Questo significa che voi lettori conoscete la verità di una proposizione che io non posso dimostrare. Ed è proprio questa l'essenza della dimostrazione di Gödel: esisteranno sempre certe proposizioni vere che non possono essere dimostrate, ragion per cui i sistemi risulteranno incompleti.


Attenzione, il teorema di incompletezza non perviene alla dissoluzione totale di ogni forma di conoscenza logica: semplicemente pone dei limiti all’autoreferenzialità di alcuni sistemi formali. Tornando all’esempio precedente, io potrei non essere in grado di dimostrare la veridicità di una proposizione, ma un sistema più esteso potrebbe. Dunque, ritornando al teorema, ne consegue che una proposizione, indimostrabile all’interno di un sistema, può diventare assioma dimostrabile all’interno di un altro sistema più vasto. Chiaramente a propria volta questo sistema esteso non potrà, secondo il principio di incompletezza, dimostrare ogni formulazione che contiene; così il tutto si ripete, nel tentativo sempre nuovo di superare il limite di ciascun sistema. Se ci pensiamo, è un interessantissimo argomento per chi è abituato a mettere le proprie idee in discussione… oltre a costituire un bel bagno d’umiltà per chi pensa di avere la ragione e la verità sempre a portata di mano.


Le conseguenze di tale teorema sono evidenti: si possono costruire asserzioni matematico-logiche POTENZIALMENTE vere o false, e si potrebbe intraprendere una procedura sistematica per controllare la loro verità o falsità, ma il punto rimane lo stesso: tale procedura non avrebbe mai termine, in quanto il risultato potrebbe sempre essere messo in discussione.


Riflettiamo su quanto possa essere ricca una siffatta logica che includa l’incertezza e il riconoscimento di un confronto continuo con l’indecidibile… tutto ciò può condurre alla costruzione di una metodologia differente rispetto alla logica bivalente: una metodologia in cui le contraddizioni non conducono necessariamente ad un problema, ma rappresentano piuttosto un dato intrinseco da analizzare e studiare in vista di una realtà più complessa rispetto al dualismo vero-falso. Siamo ben oltre il tertium non datur aristotelico: la realtà sembra non chiudersi in disgiunzioni nette e definite, quanto piuttosto ampliarsi in contraddizioni che rappresentano delle parzialità dialogiche. Dunque due proposizioni contrarie, pur opponendosi, sono in qualche modo legate in qualcosa di più grande, in una totalità complessa che le racchiude e che le rende entrambe vere nella loro complementarietà… è la questione del limite e del confine! Così Gleick affermava:


“nessun punto serve da confine fra due soli colori. Ogni volta che due colori tentano di venire in contatto, si inserisce sempre il terzo, con una serie di intrusioni nuove, autosomiglianti. Ogni punto di frontiera, per quanto possa sembrare strano, confina con una regione di ciascuno dei tre colori”;


anche i bambini possono fare esperienza diretta di una tale affermazione attraverso l’utilizzo degli acquerelli.


Tertium datur verrebbe da dire, laddove la conoscenza risulta essere non qualcosa di definito e che si possieda una volta per sempre, ma piuttosto una continua ed inesauribile ricerca, sempre ricca di nuove tensioni, nuove sfumature dialogiche e critiche… ricerca che potrebbe essere ben sintetizzata dal celebre motto socratico “so di non sapere” o dalla docta ignorantia di Nicolò Cusano che, forse, vi ricorderanno (non a caso) i paradossi logici di cui abbiamo su discusso. In fondo il pensiero di questi filosofi non è poi così lontano dall’applicazione del teorema di incompletezza… non trovate?


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